domenica 27 maggio 2018

I "maestri" di Clemente Alessandrino

Dag Tessore



Clemente Alessandrino


Dag Tessore sottolinea l'importanza del fatto che Clemente Alessandrino sia vissuto solo un secolo dopo Gesù. A questo proposito, ecco un passo di Clemente:

Innanzitutto Clemente di Alessandria è uno degli autori cristiani più antichi: le sue opere furono scritte intorno al 190 d.C. Ciò conferisce loro un particolare valore, non solo per l'importanza documentaria, ma anche per la vicinanza cronologica agli Apostoli e a Gesù. Il Pedagogo è uno dei primi "grandi libri" del cristianesimo e di conseguenza uno dei suoi testi fondanti. Sebbene i grandi Padri del III e IV secolo, quali Atanasio, Basilio, Agostino, abbiano assunto, nell'elaborazione della dottrina cristiana, un ruolo maggiore, come i Padri del I e II secolo (ovvero i Padri Apostolici e gli Apologisti) costituiscono, per la loro antichità, una testimonianza unica e irripetibile. E' verosimile che il maestro di Clemente fosse Panteno, il quale a sua volta, secondo la tradizione, sarebbe stato discepolo dell'apostolo Giovanni. Del maestro si aveva a quei tempi un ricordo vivo e personale. E' lo stesso Clemente che scrive: "Questi maestri [tra cui Panteno] conservano la vera tradizione della beata Dottrina [di Cristo]: essi l'avevano ricevuta di padre in figlio accogliendola così direttamente dai santi apostoli Pietro e Giacomo, Giovanni e Paolo. Grazie a Gesù, essi sono giunti fino a noi".
Per questo Clemente, insieme ai Padri dei primi due secoli, ha per noi un'importanza fondamentale: è da lui, più che dagli autori dei tempi successivi che possiamo vedere e imparare quale fosse la Chiesa delle origini.



Agostino: il linguaggio



Antony Kenny analizza il Maestro agostiniano, opera precedente le Confessioni, dedicata più al linguaggio che all'educazione in generale, nella quale l'autore immagina di dialogare con il figlio Adeodato. Agostino sostiene che utilizziamo il linguaggio per vari scopi, che vanno al di là della semplice comunicazione. Nella parte delle Confessioni in cui ripercorre la propria infanzia, Agostino descrive l'apprendimento del linguaggio.

Le considerazioni sul linguaggio contenute nelle Confessioni furono precedute da una trattazione molto più ampia del tema in un'opera precedente, il De Magistro. L'opera che è un dialogo tra Agostino e il figlio Adeodato, si occupa di un tema molto più ristretto di quello suggerito dal titolo. Essa non tratta dell'educazione in generale, ma si concentra sull'insegnamento e l'apprendimento del significato delle parole.
Agostino non trascura di esaminare l'affermazione, a prima vista banale, secondo cui le parole sono segni che stanno per qualcosa.
La definizione ostensiva, sembra offrirci una via d'uscita da questa difficoltà, almeno per quanto riguarda alcune parole - come "camminare", "mangiare", e "stare in piedi" - che sono spiegabili direttamente, facendo ciò che la parola significa: io posso cioè definire la parola "camminare", camminando avanti e indietro. Supponiamo però che quando qualcuno mi chiede cosa vuol dire, io stia già camminando: come faccio in questo caso a definire la parola?
Come posso sapere che il significato che mi si sta presentando è quello di "camminare" e non quello di "fretta"?

= camminare

= camminare o fretta ?


Dal fallimento di una concezione dell'apprendimento basata sull'ostensione, Agostino conclude infine che il significato delle parole è qualcosa che viene insegnato non da un qualunque maestro umano, bensì da un maestro interiore, la cui dimora è in cielo.
Siamo di fronte a una versione cristiana della tesi platonica del Menone secondo cui ogni conoscenza è in realtà reminiscenza, vale a dire un ricordo vago e remoto.


Il quadrato blu ha area doppia del quadrato giallo
Un passo cruciale del Menone è l'esperimento maieutico fatto da Socrate per dimostrare al dubbioso Menone l'esattezza della sua teoria dell'anamnesi, = ricordo.

Il riscatto di Celso

Il filosofo Origene si è impegnato come molti Padri della Chiesa, nella difesa della nuova religione, il cristianesimo, contro gli attacchi della cultura pagana. In particolare, Origene ha lasciato un'opera, Contro Celso, che prende di mira un esponente della seconda sofistica, il quale difende il logos, la ragione, e il nomos, la legge, contro il pericolo di instabilità rappresentato dal fenomeno in ascesa del cristianesimo.










Si dice comunemente che la storia sia scritta dai vincitori. A volte, però, sono i vincitori che salvano almeno gli scritti degli sconfitti, permettendoci così di riconoscere un altro punto di vista sulla medesima storia. E' il caso di Celso, che compose uno scritto polemico contro i cristiani intorno al 170 d.C.; una settantina d'anni dopo il grande teologo Origene venne sollecitato dal suo sponsor Ambrogio, ricco e potente esponente della burocrazia imperiale, a redigere una risposta alle critiche mosse da Celso alla nuova religione. Nacque così il trattato Contro Celso, che si estende per otto lunghi libri. La verità che Celso oppone ai cristiani si struttura attorno a due principi fondamentali: il logos, ovvero il principio di razionalità che trova la massima espressione nella filosofia greca, e il nomos, la "legge", intesa come somma delle tradizioni etico-civili dei popoli riuniti in unità dal governo illuminato di Roma. Di fronte a questi due principi, convalidati da una veneranda antichità e da una secolare elaborazione culturale, stanno, per Celso, l'irrazionale credulità dei cristiani e la loro insofferenza verso l'ordine stabilito, frutto di un istinto di rivolta, la stasis, che i cristiani avrebbero ereditato dai loro progenitori, gli ebrei.
Non sappiamo molto della personalità storica di Celso; Origene lo presenta come un filosofo epicureo, ovvero ateo, in quanto i seguaci di Epicuro negavano l'esistenza della provvidenza e qualsiasi interesse delle divinità verso gli uomini.
A differenza del suo scritto, Celso non è sopravvissuto alla sconfitta. Ma certo sarebbe stato sorpreso sapendo che la Chiesa ha costruito la propria legittimazione proprio attorno alla pretesa di rappresentare la forma più alta di razionalità. L'accorato, ovvero molto triste, appello conclusivo di Celso, affinché i cristiani si schierassero a sostegno dell'impero in difficoltà, in fondo, ha ricevuto la più inattesa delle risposte.



Come insegnare letteratura a Teheran, oggi

Azar Nafisi

Azar Nafisi, scrittrice iraniana ora residente negli Stati Uniti, nel romanzo Leggere Lolita a Teheran racconta del suo tentativo di tenere corsi, all'Università di Teheran, su autori occidentali come Vladimir Nabokov, del quale propone lo scandaloso Lolita, da cui il titolo di questo suo libro autobiografico. Per aver letto e commentato Il grande Gatsby dello scrittore americano Francis Scott Fitzgerald viene addirittura "processata" dagli studenti integralisti della rivoluzione islamica dell'ayatollah Khomeini: nel brano qui sotto, l'autrice cerca di garantire l'autonomia della letteratura rispetto alle "ingerenze" della religione o di altri criteri di valutazione che non siano quelli artistici o che non tengano conto della vita nella sua complessità. La docente deciderà di continuare l'insegnamento nella propria casa, con un gruppo di fedeli studentesse. Benché si tratti di un brano su un paese islamico di oggi, ciò che viene descritto affonda le radici nei tempi più antichi della stessa religione musulmana: il filosofo e pedagogista Al-Ghazzali nel XII secolo ammoniva di tener lontani i giovani dalle opere letterarie che parlano di amore di amanti perché esse seminano "nei cuori dei fanciulli i germi dei vizi".

Dunque mi accomodai goffamente sulla sedia offertami da Farzan. Nel corso dei preparativi per il processo, avevo scoperto che, per quanti sforzi facessi, mi riusciva difficile spiegare a parole le ragioni della mia passione per Gatsby. Continuavo a ripetere ciò che lo stesso Fitzgerald aveva detto del libro: "E' questo il succo del mio romanzo, la perdita di quelle illusioni che danno colore al mondo: così che non importa più se una cosa è vera o falsa, purché partecipi di quello splendore".
Avrei voluto dire agli studenti che il romanzo non parlava di adulterio, ovvero di violazione della fedeltà coniugale, ma della perdita dei sogni.
Per me era diventato di importanza vitale che accettassero Gatsby alle sue condizioni, lo lodassero e lo amassero per la sua bellezza straordinaria e tormentata; ma in quell'occasione dovevo essere più concreta.
"Non si legge Gatsby" dissi dunque "per capire se l'adulterio è una cosa buona o cattiva, ma per rendersi conto che il matrimonio, la fedeltà, il tradimento sono questioni molto complicate. Un grande romanzo affina le vostre percezioni, vi fa sentire la complessità della vita e degli individui, e vi difende dall'ipocrita certezza della validità delle vostre opinioni, della morale a compartimenti stagni..."
"Ma signora," mi interruppe Nyazi "non c'è nulla di complicato in una relazione con la moglie di un altro. Perché Gatsby non si trova una moglie sua?" aggiunse, corrucciato, cioè risentito.
"E tu perché non ti scrivi un romanzo tuo?" esclamò qualcuno dalla fila di mezzo. Nyazi rimase sbalordito. Da quel momento in poi non riuscii a dire più due parole in croce: pareva che di punto in bianco tutti sentissero il bisogno di intervenire. Dietro mio suggerimento Farzan chiese un intervallo di dieci minuti. Uscii dalla stanza insieme ad alcuni studenti che come me sentivano il bisogno di un po' di aria fresca.






La canzone di Orlando




La Chanson de Roland, composta verso la seconda metà dell'XI secolo, è la più famosa oltre che la più antica tra le cosiddette canzoni di gesta della letteratura francese medievale. Il poema riprende
un fatto storico: la spedizione militare effettuata da Carlo Magno contro gli arabi di Spagna nel 778 che si conclude con l'annientamento della retroguardia dell'esercito franco, guidata da Rolando (o Orlando) al passo di Roncisvalle, sui Pirenei, a opera di montanari baschi alleati dei saraceni. Nel brano seguente viene proprio descritto lo sgomento provocato dall'eccidio, a cui segue la volontà di vendetta di Carlo Magno contro gli "infedeli".
Dal testo emergono anche i valori caratteristici della cavalleria.

Non c'è nessuno cavaliere o barone,
che amaramente non piaga di dolore:
piangono i figli, i fratelli, i nipoti,
e i loro amici, e i fedeli signori;
e i più per terra svenuti s'abbandonano.
Il duca Namo si comporta da prode:
primo fra tutti dice all'imperatore:
"Laggiù guardate, due leghe innanzi a noi:
potete scorgere le strade polverose,
tanta è la gente saracina raccolta!
Via, cavalcate! Vendicate il dolore!"
"Dio!" disse Carlo "così lontani sono!
Acconsentite a me giustizia e onore!
 M’hanno strappato della mia Francia il fiore."
 Venir fa il re Geboino ed Ottone,
 e Teobaldo di Remi con Milone:
"Guardate il campo, guardate valli e monti,
lasciate i morti giacere come sono,
che non li tocchi né bestia né leone,
 e non li tocchi scudiero oppur garzone:
io vi comando che nessuno li tocchi,
finché Dio voglia farci fare ritorno".
Quelli rispondono, con dolcezza ed amore:
"Noi lo faremo, sì, giusto imperatore!"
E tengon mille cavalieri dei loro.
L’imperatore fa le trombe suonare,
poi col suo grande esercito cavalca.
Voltato il dorso hanno quelli di Spagna;
e tutti i Franchi dànno insieme la caccia.
 Quando il re vede il vespro declinare,
sull’erba verde smonta in mezzo ad un prato,
si stende per terra e incomincia a pregare
perché il Signore faccia il sole fermarsi,
 tardar la notte e il giorno prolungarsi.
Ed ecco un angelo che suol con lui parlare
questo comando rapido viene a dargli:
 "Carlo, cavalca; la luce non ti manca.
 Dio sa che il fiore hai perduto di Francia:
puoi vendicarti della razza malvagia".
L’imperatore allor monta a cavallo.


Il richiamo di Orlando 


sabato 26 maggio 2018

Come allevare i bambini

Muhammad al-Ghazzali è il più noto tra i pedagogisti islamici. Certe sue raccomandazioni ricordano quelle del cristiano Giovanni Crisostomo per il richiamo sia al padrone sia ai pericoli dell'eccessiva ricchezza nonché di certe forme di svago.












Il bambino è un deposito nelle mani dei suoi parenti. Il suo puro cuore è una perla preziosa, semplice, priva di ogni impronta e forma, ed egli è pertanto ricettivo a tutto ciò che vi si imprime ed inclinabile in ogni direzione: se viene indirizzato ed istruito al bene, cresce buono e diventa felice in questa vita e nell'altra, premio che con lui condividono i suoi genitori e ognuno che concorra ad istruirlo ed a educarlo; se invece viene assuefatto al male e lasciato a se stesso come un animale, se ne fa un infelice; e la pena ricade sul capo di chi lo ha in podestà ed in cura. Il padre non dovrà abituarlo alle mollezze, né incoraggiarlo al lusso e all'abbondanza, perché egli non consumi la propria esistenza nel cercarle, quando sarà grande... Non appena lui inizierà a formulare un giudizio, il genitore dovrà seguirlo ancor più da vicino. I primi segni del discernimento consistono nelle prime manifestazioni del sentimento e della vergogna. Se infatti egli ha ritegno e vergogna e si astiene da certi atti, vuol dire che è spuntata in lui la luce della ragione, che gli fa vedere alcune cose come cattive e diverse dalle altre, per modo che di alcune si vergogna e di altre no... Il bambino che si vergogna non deve essere lasciato a se stesso; al contrario si devono utilizzare la sua vergogna e il suo discernimento per educarlo.
Poi il bimbo andrà a lavorare a scuola: imparerà il Corano, le tradizioni dei buoni e le storie dei pii, ovvero quelli che credono, affinché gli si figga nella mente l'amore dei santi. Sarà tenuto lontano dalle poesie  che parlano di amore e di amanti e dalla frequentazione dei letterati che pretendono che questo sia un oggetto elegante e da nature raffinate..


Riproduzione del Corano, con commento (tafsīr) in margine

Educazione e salvezza

Maometto


Nel 610 Maometto riceve la rivelazione che sarà poi messa per iscritto nel Corano. L'opera fornisce le indicazioni utili al buon credente ("la lieta novella"). Esso ha quindi, nell'insieme, un carattere educativo in vista della salvezza personale da ottenere nell'altra vita. Sono disseminate poi qui e là effettive indicazioni di carattere pedagogico sul comportamento che i figli devono tenere verso i genitori, ma anche sul modo in cui questi devono allevare la propria prole.

7. Se fate il bene, lo fate a voi stessi: se fate il male, è a voi stessi che lo fate. Quando poi si realizzò l'ultima promessa i vostri volti furono oscurati ed essi entrarono nel tempio come già erano entrati e distrussero completamente quello che avevano conquistato.

8. Forse il vostro Signore vi userà misericordia, ma se persisterete persisteremo. Abbiamo fatto dell'Inferno una prigione per i miscredenti, ovvero per chi non crede nella divinità.

9. In verità questo Corano conduce a ciò che è più giusto e annuncia la lieta novella ai credenti, a coloro che compiono il bene: in verità avranno una grande ricompensa,

10. e in verità per coloro che non credono nell'altra vita abbiamo preparato un doloroso castigo.

11.L'uomo invoca il male come invoca il bene. In verità l'uomo è frettoloso.

12. Abbiamo fatto la notte e il giorno come segni: è oscuro il segno della notte, mentre è chiaro il segno del giorno, affinché in essi cerchiate la grazia del vostro Signore e conosciate lo scorrere degli anni e il computo [del tempo]. Ed ogni cosa l'abbiamo esposta in dettaglio.

13.Al collo di ogni uomo abbiamo attaccato il suo destino e nel Giorno della Resurrezione gli mostreremo uno scritto che vedrà dispiegato.

14. [Gli sarà detto:] "Leggi il tuo scritto: oggi sarai il contabile di te stesso"

15.Chi segue la retta via, la segue a suo vantaggio; e chi si svia lo fa a suo danno; e nessuno porterà il peso di un altro. Non castigheremo alcun popolo senza prima inviar loro un messaggero.

20.Sosterremo con i doni del tuo Signore questi e quelli. I doni del tuo Signore non sono negati a nessuno.

21.Osserva come diamo ad alcuni eccellenza su altri; nell'altra vita, però ci saranno livelli più elevati ed eccellenza maggiore.

22.Non accostare ad Allah un'altra divinità, ché saresti bandito e reietto.

23.Il tuo Signore ha decretato di non adorare altri che Lui è di trattare bene i vostri genitori. Se uno di loro, o entrambi, dovessero invecchiare presso di te, non dir loro "uff!" e non li rimproverare; ma parla loro con rispetto,

24.e inclina con bontà, verso di loro, l'ala della tenerezza; e dì: "O Signore, sii misericordioso nei loro confronti, come essi lo sono stati nei miei, allevandomi quando ero piccolo".

25.Il vostro Signore ben conosce quello che c'è nell'animo vostro. Se siete giusti Egli è Colui che perdona coloro che tornano a Lui pentiti.

26.Rendi il loro diritto ai parenti, ai poveri e al viandante, senza essere prodigo,

27.ché in verità i prodighi sono fratelli dei diavoli e Satana è molto ingrato nei confronti del suo Signore.

31.Non uccidete i vostri figli per timore della miseria: siamo Noi a provvederli di cibo, come a voi stessi. Ucciderli è veramente un peccato gravissimo.

34.Non toccate i beni dell'orfano se non a suo vantaggio e fino a quando non raggiunga la maggiore età.

55.Il tuo Signore ben conosce quel che c'è nei cieli e sulla terra.
Ad alcuni profeti abbiamo dato eccellenza sugli altri e a Davide abbiamo dato il Salterio.
Salterio = il libro biblico dei Salmi

71.Nel Giorno in cui ogni comunità sarà richiamata assieme alla loro guida, coloro  che riceveranno il rotolo nella destra leggeranno il loro rotolo e non subiranno il minimo torto.

72.E colui che sarà stato cieco in questa vita lo sarà nell'altra e più traviato ancora.