domenica 25 febbraio 2018

Il mito della caverna di Platone

Platone

Per rendere più comprensibile il suo pensiero, Platone si è servito di artifici letterari, anche se a lui la poesia non piaceva..
Per esempio: il mito della caverna, raccontato nel libro della Repubblica.

Platone immagina che alcuni schiavi siano incatenati fin dall'infanzia in una caverna in modo tale da vederne solo il fondo, sul quale sono proiettate le ombre prodotte da statuette che vengono fatte passare alle loro spalle, al di sopra di un muretto, illuminate da un fuoco. 
Dalla loro posizione, gli schiavi non vedono niente e credono che le ombre siano l'unica e la vera realtà esistente. Uno schiavo, però, si libera e riesce a vedere le statuette, fonte delle ombre; uscito dalla caverna, può capire, quando gli occhi si sono abituati alla luce, che a loro volta le statuette non sono la vera realtà, che è invece al di fuori della caverna. Ma, abbagliato dalla luce, non può vedere le cose subito: deve prima accontentarsi delle immagini riflesse nell'acqua, finché tutto gli appare più chiaro e può alzare lo sguardo addirittura al sole che tutto illumina. 
Lo schiavo, identificabile con Socrate, non si accontenta di tenere per sé la scoperta fatta, ma rientra nella caverna per portare la verità agli altri schiavi: viene prima deriso da chi non crede a una realtà diversa da quella che conoscono, e infine ucciso. 




Il mito illustra bene il presupposto di fondo di tutta la filosofia di Platone, l'unione tra conoscenza, educazione e politica.
Socrate, quindi, vuole comunicare la sua scoperta a tutti gli uomini per liberarli dalla loro condizione di schiavitù: la caverna buia rappresenta la condizione dell'ignoranza che rende "prigionieri" di false credenze e delle passioni.




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