domenica 27 maggio 2018

I "maestri" di Clemente Alessandrino

Dag Tessore



Clemente Alessandrino


Dag Tessore sottolinea l'importanza del fatto che Clemente Alessandrino sia vissuto solo un secolo dopo Gesù. A questo proposito, ecco un passo di Clemente:

Innanzitutto Clemente di Alessandria è uno degli autori cristiani più antichi: le sue opere furono scritte intorno al 190 d.C. Ciò conferisce loro un particolare valore, non solo per l'importanza documentaria, ma anche per la vicinanza cronologica agli Apostoli e a Gesù. Il Pedagogo è uno dei primi "grandi libri" del cristianesimo e di conseguenza uno dei suoi testi fondanti. Sebbene i grandi Padri del III e IV secolo, quali Atanasio, Basilio, Agostino, abbiano assunto, nell'elaborazione della dottrina cristiana, un ruolo maggiore, come i Padri del I e II secolo (ovvero i Padri Apostolici e gli Apologisti) costituiscono, per la loro antichità, una testimonianza unica e irripetibile. E' verosimile che il maestro di Clemente fosse Panteno, il quale a sua volta, secondo la tradizione, sarebbe stato discepolo dell'apostolo Giovanni. Del maestro si aveva a quei tempi un ricordo vivo e personale. E' lo stesso Clemente che scrive: "Questi maestri [tra cui Panteno] conservano la vera tradizione della beata Dottrina [di Cristo]: essi l'avevano ricevuta di padre in figlio accogliendola così direttamente dai santi apostoli Pietro e Giacomo, Giovanni e Paolo. Grazie a Gesù, essi sono giunti fino a noi".
Per questo Clemente, insieme ai Padri dei primi due secoli, ha per noi un'importanza fondamentale: è da lui, più che dagli autori dei tempi successivi che possiamo vedere e imparare quale fosse la Chiesa delle origini.



Agostino: il linguaggio



Antony Kenny analizza il Maestro agostiniano, opera precedente le Confessioni, dedicata più al linguaggio che all'educazione in generale, nella quale l'autore immagina di dialogare con il figlio Adeodato. Agostino sostiene che utilizziamo il linguaggio per vari scopi, che vanno al di là della semplice comunicazione. Nella parte delle Confessioni in cui ripercorre la propria infanzia, Agostino descrive l'apprendimento del linguaggio.

Le considerazioni sul linguaggio contenute nelle Confessioni furono precedute da una trattazione molto più ampia del tema in un'opera precedente, il De Magistro. L'opera che è un dialogo tra Agostino e il figlio Adeodato, si occupa di un tema molto più ristretto di quello suggerito dal titolo. Essa non tratta dell'educazione in generale, ma si concentra sull'insegnamento e l'apprendimento del significato delle parole.
Agostino non trascura di esaminare l'affermazione, a prima vista banale, secondo cui le parole sono segni che stanno per qualcosa.
La definizione ostensiva, sembra offrirci una via d'uscita da questa difficoltà, almeno per quanto riguarda alcune parole - come "camminare", "mangiare", e "stare in piedi" - che sono spiegabili direttamente, facendo ciò che la parola significa: io posso cioè definire la parola "camminare", camminando avanti e indietro. Supponiamo però che quando qualcuno mi chiede cosa vuol dire, io stia già camminando: come faccio in questo caso a definire la parola?
Come posso sapere che il significato che mi si sta presentando è quello di "camminare" e non quello di "fretta"?

= camminare

= camminare o fretta ?


Dal fallimento di una concezione dell'apprendimento basata sull'ostensione, Agostino conclude infine che il significato delle parole è qualcosa che viene insegnato non da un qualunque maestro umano, bensì da un maestro interiore, la cui dimora è in cielo.
Siamo di fronte a una versione cristiana della tesi platonica del Menone secondo cui ogni conoscenza è in realtà reminiscenza, vale a dire un ricordo vago e remoto.


Il quadrato blu ha area doppia del quadrato giallo
Un passo cruciale del Menone è l'esperimento maieutico fatto da Socrate per dimostrare al dubbioso Menone l'esattezza della sua teoria dell'anamnesi, = ricordo.

Il riscatto di Celso

Il filosofo Origene si è impegnato come molti Padri della Chiesa, nella difesa della nuova religione, il cristianesimo, contro gli attacchi della cultura pagana. In particolare, Origene ha lasciato un'opera, Contro Celso, che prende di mira un esponente della seconda sofistica, il quale difende il logos, la ragione, e il nomos, la legge, contro il pericolo di instabilità rappresentato dal fenomeno in ascesa del cristianesimo.










Si dice comunemente che la storia sia scritta dai vincitori. A volte, però, sono i vincitori che salvano almeno gli scritti degli sconfitti, permettendoci così di riconoscere un altro punto di vista sulla medesima storia. E' il caso di Celso, che compose uno scritto polemico contro i cristiani intorno al 170 d.C.; una settantina d'anni dopo il grande teologo Origene venne sollecitato dal suo sponsor Ambrogio, ricco e potente esponente della burocrazia imperiale, a redigere una risposta alle critiche mosse da Celso alla nuova religione. Nacque così il trattato Contro Celso, che si estende per otto lunghi libri. La verità che Celso oppone ai cristiani si struttura attorno a due principi fondamentali: il logos, ovvero il principio di razionalità che trova la massima espressione nella filosofia greca, e il nomos, la "legge", intesa come somma delle tradizioni etico-civili dei popoli riuniti in unità dal governo illuminato di Roma. Di fronte a questi due principi, convalidati da una veneranda antichità e da una secolare elaborazione culturale, stanno, per Celso, l'irrazionale credulità dei cristiani e la loro insofferenza verso l'ordine stabilito, frutto di un istinto di rivolta, la stasis, che i cristiani avrebbero ereditato dai loro progenitori, gli ebrei.
Non sappiamo molto della personalità storica di Celso; Origene lo presenta come un filosofo epicureo, ovvero ateo, in quanto i seguaci di Epicuro negavano l'esistenza della provvidenza e qualsiasi interesse delle divinità verso gli uomini.
A differenza del suo scritto, Celso non è sopravvissuto alla sconfitta. Ma certo sarebbe stato sorpreso sapendo che la Chiesa ha costruito la propria legittimazione proprio attorno alla pretesa di rappresentare la forma più alta di razionalità. L'accorato, ovvero molto triste, appello conclusivo di Celso, affinché i cristiani si schierassero a sostegno dell'impero in difficoltà, in fondo, ha ricevuto la più inattesa delle risposte.



Come insegnare letteratura a Teheran, oggi

Azar Nafisi

Azar Nafisi, scrittrice iraniana ora residente negli Stati Uniti, nel romanzo Leggere Lolita a Teheran racconta del suo tentativo di tenere corsi, all'Università di Teheran, su autori occidentali come Vladimir Nabokov, del quale propone lo scandaloso Lolita, da cui il titolo di questo suo libro autobiografico. Per aver letto e commentato Il grande Gatsby dello scrittore americano Francis Scott Fitzgerald viene addirittura "processata" dagli studenti integralisti della rivoluzione islamica dell'ayatollah Khomeini: nel brano qui sotto, l'autrice cerca di garantire l'autonomia della letteratura rispetto alle "ingerenze" della religione o di altri criteri di valutazione che non siano quelli artistici o che non tengano conto della vita nella sua complessità. La docente deciderà di continuare l'insegnamento nella propria casa, con un gruppo di fedeli studentesse. Benché si tratti di un brano su un paese islamico di oggi, ciò che viene descritto affonda le radici nei tempi più antichi della stessa religione musulmana: il filosofo e pedagogista Al-Ghazzali nel XII secolo ammoniva di tener lontani i giovani dalle opere letterarie che parlano di amore di amanti perché esse seminano "nei cuori dei fanciulli i germi dei vizi".

Dunque mi accomodai goffamente sulla sedia offertami da Farzan. Nel corso dei preparativi per il processo, avevo scoperto che, per quanti sforzi facessi, mi riusciva difficile spiegare a parole le ragioni della mia passione per Gatsby. Continuavo a ripetere ciò che lo stesso Fitzgerald aveva detto del libro: "E' questo il succo del mio romanzo, la perdita di quelle illusioni che danno colore al mondo: così che non importa più se una cosa è vera o falsa, purché partecipi di quello splendore".
Avrei voluto dire agli studenti che il romanzo non parlava di adulterio, ovvero di violazione della fedeltà coniugale, ma della perdita dei sogni.
Per me era diventato di importanza vitale che accettassero Gatsby alle sue condizioni, lo lodassero e lo amassero per la sua bellezza straordinaria e tormentata; ma in quell'occasione dovevo essere più concreta.
"Non si legge Gatsby" dissi dunque "per capire se l'adulterio è una cosa buona o cattiva, ma per rendersi conto che il matrimonio, la fedeltà, il tradimento sono questioni molto complicate. Un grande romanzo affina le vostre percezioni, vi fa sentire la complessità della vita e degli individui, e vi difende dall'ipocrita certezza della validità delle vostre opinioni, della morale a compartimenti stagni..."
"Ma signora," mi interruppe Nyazi "non c'è nulla di complicato in una relazione con la moglie di un altro. Perché Gatsby non si trova una moglie sua?" aggiunse, corrucciato, cioè risentito.
"E tu perché non ti scrivi un romanzo tuo?" esclamò qualcuno dalla fila di mezzo. Nyazi rimase sbalordito. Da quel momento in poi non riuscii a dire più due parole in croce: pareva che di punto in bianco tutti sentissero il bisogno di intervenire. Dietro mio suggerimento Farzan chiese un intervallo di dieci minuti. Uscii dalla stanza insieme ad alcuni studenti che come me sentivano il bisogno di un po' di aria fresca.






La canzone di Orlando




La Chanson de Roland, composta verso la seconda metà dell'XI secolo, è la più famosa oltre che la più antica tra le cosiddette canzoni di gesta della letteratura francese medievale. Il poema riprende
un fatto storico: la spedizione militare effettuata da Carlo Magno contro gli arabi di Spagna nel 778 che si conclude con l'annientamento della retroguardia dell'esercito franco, guidata da Rolando (o Orlando) al passo di Roncisvalle, sui Pirenei, a opera di montanari baschi alleati dei saraceni. Nel brano seguente viene proprio descritto lo sgomento provocato dall'eccidio, a cui segue la volontà di vendetta di Carlo Magno contro gli "infedeli".
Dal testo emergono anche i valori caratteristici della cavalleria.

Non c'è nessuno cavaliere o barone,
che amaramente non piaga di dolore:
piangono i figli, i fratelli, i nipoti,
e i loro amici, e i fedeli signori;
e i più per terra svenuti s'abbandonano.
Il duca Namo si comporta da prode:
primo fra tutti dice all'imperatore:
"Laggiù guardate, due leghe innanzi a noi:
potete scorgere le strade polverose,
tanta è la gente saracina raccolta!
Via, cavalcate! Vendicate il dolore!"
"Dio!" disse Carlo "così lontani sono!
Acconsentite a me giustizia e onore!
 M’hanno strappato della mia Francia il fiore."
 Venir fa il re Geboino ed Ottone,
 e Teobaldo di Remi con Milone:
"Guardate il campo, guardate valli e monti,
lasciate i morti giacere come sono,
che non li tocchi né bestia né leone,
 e non li tocchi scudiero oppur garzone:
io vi comando che nessuno li tocchi,
finché Dio voglia farci fare ritorno".
Quelli rispondono, con dolcezza ed amore:
"Noi lo faremo, sì, giusto imperatore!"
E tengon mille cavalieri dei loro.
L’imperatore fa le trombe suonare,
poi col suo grande esercito cavalca.
Voltato il dorso hanno quelli di Spagna;
e tutti i Franchi dànno insieme la caccia.
 Quando il re vede il vespro declinare,
sull’erba verde smonta in mezzo ad un prato,
si stende per terra e incomincia a pregare
perché il Signore faccia il sole fermarsi,
 tardar la notte e il giorno prolungarsi.
Ed ecco un angelo che suol con lui parlare
questo comando rapido viene a dargli:
 "Carlo, cavalca; la luce non ti manca.
 Dio sa che il fiore hai perduto di Francia:
puoi vendicarti della razza malvagia".
L’imperatore allor monta a cavallo.


Il richiamo di Orlando 


sabato 26 maggio 2018

Come allevare i bambini

Muhammad al-Ghazzali è il più noto tra i pedagogisti islamici. Certe sue raccomandazioni ricordano quelle del cristiano Giovanni Crisostomo per il richiamo sia al padrone sia ai pericoli dell'eccessiva ricchezza nonché di certe forme di svago.












Il bambino è un deposito nelle mani dei suoi parenti. Il suo puro cuore è una perla preziosa, semplice, priva di ogni impronta e forma, ed egli è pertanto ricettivo a tutto ciò che vi si imprime ed inclinabile in ogni direzione: se viene indirizzato ed istruito al bene, cresce buono e diventa felice in questa vita e nell'altra, premio che con lui condividono i suoi genitori e ognuno che concorra ad istruirlo ed a educarlo; se invece viene assuefatto al male e lasciato a se stesso come un animale, se ne fa un infelice; e la pena ricade sul capo di chi lo ha in podestà ed in cura. Il padre non dovrà abituarlo alle mollezze, né incoraggiarlo al lusso e all'abbondanza, perché egli non consumi la propria esistenza nel cercarle, quando sarà grande... Non appena lui inizierà a formulare un giudizio, il genitore dovrà seguirlo ancor più da vicino. I primi segni del discernimento consistono nelle prime manifestazioni del sentimento e della vergogna. Se infatti egli ha ritegno e vergogna e si astiene da certi atti, vuol dire che è spuntata in lui la luce della ragione, che gli fa vedere alcune cose come cattive e diverse dalle altre, per modo che di alcune si vergogna e di altre no... Il bambino che si vergogna non deve essere lasciato a se stesso; al contrario si devono utilizzare la sua vergogna e il suo discernimento per educarlo.
Poi il bimbo andrà a lavorare a scuola: imparerà il Corano, le tradizioni dei buoni e le storie dei pii, ovvero quelli che credono, affinché gli si figga nella mente l'amore dei santi. Sarà tenuto lontano dalle poesie  che parlano di amore e di amanti e dalla frequentazione dei letterati che pretendono che questo sia un oggetto elegante e da nature raffinate..


Riproduzione del Corano, con commento (tafsīr) in margine

Educazione e salvezza

Maometto


Nel 610 Maometto riceve la rivelazione che sarà poi messa per iscritto nel Corano. L'opera fornisce le indicazioni utili al buon credente ("la lieta novella"). Esso ha quindi, nell'insieme, un carattere educativo in vista della salvezza personale da ottenere nell'altra vita. Sono disseminate poi qui e là effettive indicazioni di carattere pedagogico sul comportamento che i figli devono tenere verso i genitori, ma anche sul modo in cui questi devono allevare la propria prole.

7. Se fate il bene, lo fate a voi stessi: se fate il male, è a voi stessi che lo fate. Quando poi si realizzò l'ultima promessa i vostri volti furono oscurati ed essi entrarono nel tempio come già erano entrati e distrussero completamente quello che avevano conquistato.

8. Forse il vostro Signore vi userà misericordia, ma se persisterete persisteremo. Abbiamo fatto dell'Inferno una prigione per i miscredenti, ovvero per chi non crede nella divinità.

9. In verità questo Corano conduce a ciò che è più giusto e annuncia la lieta novella ai credenti, a coloro che compiono il bene: in verità avranno una grande ricompensa,

10. e in verità per coloro che non credono nell'altra vita abbiamo preparato un doloroso castigo.

11.L'uomo invoca il male come invoca il bene. In verità l'uomo è frettoloso.

12. Abbiamo fatto la notte e il giorno come segni: è oscuro il segno della notte, mentre è chiaro il segno del giorno, affinché in essi cerchiate la grazia del vostro Signore e conosciate lo scorrere degli anni e il computo [del tempo]. Ed ogni cosa l'abbiamo esposta in dettaglio.

13.Al collo di ogni uomo abbiamo attaccato il suo destino e nel Giorno della Resurrezione gli mostreremo uno scritto che vedrà dispiegato.

14. [Gli sarà detto:] "Leggi il tuo scritto: oggi sarai il contabile di te stesso"

15.Chi segue la retta via, la segue a suo vantaggio; e chi si svia lo fa a suo danno; e nessuno porterà il peso di un altro. Non castigheremo alcun popolo senza prima inviar loro un messaggero.

20.Sosterremo con i doni del tuo Signore questi e quelli. I doni del tuo Signore non sono negati a nessuno.

21.Osserva come diamo ad alcuni eccellenza su altri; nell'altra vita, però ci saranno livelli più elevati ed eccellenza maggiore.

22.Non accostare ad Allah un'altra divinità, ché saresti bandito e reietto.

23.Il tuo Signore ha decretato di non adorare altri che Lui è di trattare bene i vostri genitori. Se uno di loro, o entrambi, dovessero invecchiare presso di te, non dir loro "uff!" e non li rimproverare; ma parla loro con rispetto,

24.e inclina con bontà, verso di loro, l'ala della tenerezza; e dì: "O Signore, sii misericordioso nei loro confronti, come essi lo sono stati nei miei, allevandomi quando ero piccolo".

25.Il vostro Signore ben conosce quello che c'è nell'animo vostro. Se siete giusti Egli è Colui che perdona coloro che tornano a Lui pentiti.

26.Rendi il loro diritto ai parenti, ai poveri e al viandante, senza essere prodigo,

27.ché in verità i prodighi sono fratelli dei diavoli e Satana è molto ingrato nei confronti del suo Signore.

31.Non uccidete i vostri figli per timore della miseria: siamo Noi a provvederli di cibo, come a voi stessi. Ucciderli è veramente un peccato gravissimo.

34.Non toccate i beni dell'orfano se non a suo vantaggio e fino a quando non raggiunga la maggiore età.

55.Il tuo Signore ben conosce quel che c'è nei cieli e sulla terra.
Ad alcuni profeti abbiamo dato eccellenza sugli altri e a Davide abbiamo dato il Salterio.
Salterio = il libro biblico dei Salmi

71.Nel Giorno in cui ogni comunità sarà richiamata assieme alla loro guida, coloro  che riceveranno il rotolo nella destra leggeranno il loro rotolo e non subiranno il minimo torto.

72.E colui che sarà stato cieco in questa vita lo sarà nell'altra e più traviato ancora.



Il mondo è ordinato



Severino Boezio


Severino Boezio, oltre a scritti dedicati alle arti liberali, ha composto La consolazione della filosofia, scritto in carcere tra il 523 e il 524: in questa opera immagina che, nelle vesti di un'anziana donna, gli appaia la Filosofia per rivelargli che il mondo non è caotico ma ordinato.


Pagina del De consolatione philosophiae da un'edizione quattrocentesca


E allora ella: "Ritieni tu che questo mondo sia mosso dal caso cieco e casuale, oppure credi che vi sia in esso un qualche governo razionale ?" "Ebbene - risposi - non potrei in alcun modo pensare che cose così certe siano mosse dal cieco caso, so invece che Dio creatore presiede alla sua opera, e non verrà mai il giorno in cui mi allontanerò dalla verità di tale opinione". "Così è .. Ma vorrei che tu rispondessi anche a questo: rammenti di essere umano ?" "Perché - risposi - non dovrei rammentarlo?" "Potresti dunque mostrare cosa l'uomo sia?"
"Mi domandi se so di essere un animale razionale e mortale? Lo so, e riconosco di essere tale". Ed ella: "Nient'altro sai di essere?" "Nient'altro". "Adesso conosco - disse - un'altra cosa, anzi la più grave, della tua malattia: hai smesso di sapere cosa tu stesso sia. Per cui ho scoperto con la massima certezza sia la ragione della tua malattia sia la via per ridarti la salute. Infatti, poiché sei confuso a causa dell'abbandono di te stesso, ti affliggi di essere esule e spogliato dei tuoi beni; poiché inoltre ignori quale sia il fine delle cose, credi potenti e felici gli uomini dissoluti e scellerati; poiché inoltre hai dimenticato con quali strumenti sia retto il mondo, ritieni che tali vicende della fortuna si susseguano senza una guida: cause serie, sono queste, che arrecano non solo la malattia ma anche la morte. Sia però reso grazie all'artefice della salvezza, giacché la natura non ti ha ancora completamente abbandonato. Disponiamo di un elemento fondamentale per la ripresa della tua salute: la tua corretta opinione sul governo del mondo.."



Dalla Regola: l'importanza della lettura

Nel brano che segue, tratto dalla Regola di san Benedetto, vengono dettate le modalità con le quali deve avvenire la lettura che accompagna il pasto comune: mentre gli altri consumano il cibo del corpo, un confratello, secondo turni settimanali, deve fornire cibo all'anima.


San Benedetto mentre scrive la Regola

Alle mense dei monaci non deve mai mancare la lettura..




Non si metta a leggere chi abbia afferrato a caso un libro, ma incominci alla domenica chi poi leggerà per tutta la settimana. Chi entra in tale ufficio dopo le preghiere finali della Messa e la comunione, si raccomandi alle orazioni di tutti, affinché Dio allontani da lui lo spirito della superbia.
Si osservi sempre un rigoroso silenzio; non si deve sentire nessun bisbiglio, ma soltanto la voce del lettore. Quel che è necessario ai monaci per mangiare e per bere se lo porgano senza che nessuno abbia bisogno di domandare nulla. Se proprio occorrerà qualche cosa, lo si chieda piuttosto con il suono di un segnale qualsiasi che con la voce. Non bisogna fare domande nemmeno riguardanti la lettura, a meno che il superiore non voglia pronunciare brevi parole per edificazione.
Il monaco lettore di settimana, prima di cominciare a leggere, beva un po' di vino per rispetto alla santa comunione e affinché non gli riesca gravoso sostenere il digiuno; alla fine pranzi con gli addetti alla cucina e con i servienti. I monaci però non devono leggere o cantare in ordine di anzianità, ma solo quelli che possono edificare chi ascolta.






Dalla Regola: severità e comprensione nell'educazione

Nelle indicazioni "pedagogiche" della sua Regola, san Benedetto oscilla tra severità e comprensione: arriva a raccomandare di "battere" i fanciulli che sbagliano, ma raccomanda anche comprensione e discrezione nei confronti di coloro che hanno errato per motivi che risiedono nel profondo della propria coscienza.


San Benedetto,
affresco nell'abbazia 
Montecassino 1981, Annigoni



Cap.30 - La correzione dei fanciulli in età minore

Ogni età ed ogni intelligenza devono essere trattate i una maniera speciale. Perciò i fanciulli e gli adolescenti o anche quelli che non possono rendersi conto della gravità della scomunica, quando commettono qualche colpa, o siano puniti con digiuni prolungati o con gravi battiture, perché si correggano.



Cap.37 - I vecchi e i fanciulli

Visto che la stessa natura umana sia portata alla compassione verso queste età, cioè verso i vecchi ed i fanciulli, tuttavia anche per loro si faccia sentire l'autorità della Regola. Si abbia sempre presente la loro debolezza e non siano tenuti alla severità della Regola quanto all'alimentazione, ma si trattino con benevola discrezione e anticipino le ore dei pasti.





Cap.45 - La correzione di quelli che sbagliano in coro 

Se qualcuno, nel recitare salmo, responsorio, antifona o lezione, sbaglia e non si umilia lì davanti a tutti con una penitenza, sia sottoposto ad una pena più severa,  perché non ha voluto correggersi con umiltà dell'errore commesso per negligenza. I fanciulli, invece, per una tale colpa siano battuti.

Cap.46 - La correzione di quelli che sbagliano in qualsiasi altra cosa

Se qualcuno, mentre è occupato in un qualsiasi lavoro, in cucina, nella dispensa, nei servizi, nel forno, nell'orto, in qualche attività o in un qualunque altro posto causasse qualche danno o anche delle rotture o delle perdite oppure commettesse altre mancanze e non si presentasse subito davanti all'abate e alla comunità per darne spontanea soddisfazione e manifestare la sua colpa, nel momento in cui questo fosse reso noto per mezzo di altri, sia sottoposto ad un castigo più severo. Se invece la causa della mancanza risiedesse nel segreto della coscienza, la manifesti solo all'abate o ai consiglieri spirituali più anziani, a chi insomma sappia curare le ferite proprie e altrui, senza scoprirle e manifestarle.

monaci benedettini riuniti in capitolo



Abbazia di Montecassino

Come educare i figli

San Giovanni Crisostomo di Antiochia, vescovo di Costantinopoli, il maggiore tra gli oratori cristiani, ha lasciato queste indicazioni per l'educazione cristiana di figi e figlie da parte del padre e della madre.


Giovanni Crisostomo,
bassorilievo bizantino dell'XI secoloMusée du Louvre di Parigi.


Ascoltate questa, o padri; educate con grande impegno i vostri figli nella disciplina e nella ammonizione del Signore. La gioventù è come un essere che ha bisogno di molti guardiani; e volesse il cielo che dopo tante cure volesse si possa tenerla a freno. La gioventù è come un cavallo indomito, come una fiera intrattabile. L'abitudine loro farà da legge..
Non permettiamo loro nessuno di quegli atti che sono piacevoli e insieme dannosi.
Esercita l'anima del figlio se l'anima è buona, gli averi a nulla gli gioveranno; se invece l'anima è bene e rettamente formata, la povertà non gli nuocerà.
Tu lo vuoi lasciare ricco ? Insegnagli di essere buono; in tal modo egli sarà pure in grado di accrescere il patrimonio, e quando anche non facesse guadagni, non si troverà in peggiori condizioni di coloro che hanno gran possessioni.
E voi, o madri, prendetevi ugual cura delle figlie. Facile è per voi questa tutela: badate che siano casalinghe , avanti tutto però insegnate loro la pietà, la modestia, che disprezzino il denaro e non amino esageratamente le acconciature e la moda. 




Alla scuola di Gesù

Origene

  
Origene, succeduto a Clemente alla guida del Didaskaleion di Alessandria, ha scritto tra l'altro alcuni commenti ai Vangeli. Nel libro XIII del Commento a Matteo descrive il rapporto tra Gesù e gli apostoli come quello tra il maestro e i suoi discepoli, un rapporto che va imitato, cercando Gesù nei propri cuori, come un maestro interiore, o richiedendo lumi a chi, nel corpo della Chiesa, funge da maestro.


Gesù e i suoi apostoli


Il maestro e i suoi discepoli



Le parole: Si avvicinarono a lui i discepoli, vanno intese nel senso di scolari che pongono dei problemi al maestro.In questo caso, i discepoli sono un esempio da imitare.
Se mai tra noi non trovassimo risposta ad un quesito, avviciniamoci a Gesù che è presente dove due o tre sono radunati nel suo nome, ed è pronto con la sua presenza, a seconda delle nostre capacità, ad illuminare i cuori di coloro che sinceramente vogliono mettersi alla sua scuola per la comprensione dei quesiti. Non è poi fuori luogo avvicinarsi anche ad uno dei maestri stabiliti da Dio nella Chiesa e porre a lui una domanda analoga: 

chi è dunque il più grande nel regno dei cieli?



Emil Nolde - Christus und Die Kinder







 La santità cristiana: non è la potenza dell’eroe straordinario, ma l’umiltà e la mitezza di chi si fa piccolo per il Regno, secondo l’immagine eloquente del bambino posto in mezzo e abbracciato. Questo bambino è il segno di Lui, il segno del Padre che lo ha mandato, il segno della piccolezza di Dio, di un crocifisso tra i malfattori. Accoglierlo dice che tutto ciò è dono, offerto e ricevuto. 

mercoledì 23 maggio 2018

Il Maestro interiore

Agostino: "Bisogna cominciare anche a capire la verità di ciò che è stato scritto per sollecitazione divina, che non dobbiamo chiamare nessuno maestro sulla terra, perché l'unico maestro di tutti è nei cieli.




Che cosa voglia dire poi "nei cieli", ce lo insegnerà egli stesso, dal quale siamo invitati attraverso gli uomini, con dei segni anche esteriori, a farci ammaestrare tornando interiormente a lui. Amarlo e conoscerlo è la vita beata, che tutti gridano di cercare, ma pochi sono quelli che si rallegrano di avere veramente trovato. Dunque da chi le hai imparate: non da me, perché avresti risposto a tutte le mie domande. Se invece non sai che sono vere, non abbiamo insegnato né io né lui: io perché no sono mai in grado di insegnare, lui perché tu non sei ancora in grado di imparare."





Adeodato: "Io invece ho imparato, dall'invito delle tue parole, che l'uomo con le parole è solo sollecitato a imparare e che è molto poco ciò che del pensiero di chi parla appare tramite il linguaggio: se poi si dicano cose vere, lo insegna solo colui che, mentre parlava esteriormente, ci ha ricordato che abita nell'interiorità. Tuttavia ti ringrazio per questo discorso che hai tenuto senza interruzione, soprattutto perché ha prevenuto e dissolto tutte le obiezioni che ero pronto a farti."

Il Logos Pedagogo

Clemente Alessandrino, direttore del Didaskaleion di Alessandria d'Egitto, riprendendo l'espressione del Vangelo di Giovanni che parla di Cristo come Logos, cioè Verbo di Dio, ne individua tre funzioni, che ricordano una tripartizione stoica: logos protrettico, cioè "esortatore", Logos pedagogo e Logos didaskalikos, cioè "istruttore". A ciascuna delle tre funzioni doveva corrispondere un'opera; la terza però, che probabilmente doveva intitolarsi Il Maestro, non è stata mai scritta. Clemente recupera il termine "pedagogo" nel significato greco di "guida": ma se il pedagogo greco accompagna a scuola l'allievo e lo segue nelle sue attività, cui il Pedagogo, che è Cristo, conduce a Dio, che è il Maestro, colui dal quale proviene ogni realtà e ogni verità.


Cristo = Pedagogo


Dio = Maestro


Chiamiamo questo, con un unico nome a lui congeniale, Pedagogo. Il Pedagogo infatti ha a che fare con la guida pratica, non con l'indagine teorica, come pure il suo scopo è di rendere l'anima migliore e non di istruirla: egli guida ad una vita di virtù e saggezza, non di conoscenza. Certamente questo stesso Logos è anche colui che istruisce, ma non ora. Quello che espone e manifesta le questioni dottrinali è il Logos istruttore; il Pedagogo invece, avendo finalità pratiche, ci ha dapprima esortati a disporre il nostro animo alla vita morale e adesso ci invita a mettere in atto i nostri doveri.
Entrambi i metodi sono utilissimi: il metodo dell'incoraggiamento ci conduce all'obbedienza, mentre il secondo, che opera per mezzo di esempi, è anch'esso duplice, assomiglianza della duplicità
Il Pedagogo infatti, con i suoi benevoli precetti conduce vero la piena conoscenza della verità quelli che erano stanchi e abbattuti. Salute e conoscenza  invero non sono la stessa cosa: questa si acquista con l'apprendimento, l'altra con la cura guaritiva. Come coloro che sono malati nel corpo hanno bisogno di un medico, così gli infermi dell'anima necessitano di un Pedagogo, il quale guarisce le nostre passioni e poi ci guidi verso il Maestro, predisponendo la nostra anima ad essere pura e quindi capace di conoscenza, e ad essere in grado di accogliere in sé la rivelazione del Logos. Il Logos amante degli uomini sotto ogni aspetto, è sollecito nel condurci alla perfezione tramite il cammino salvifico, e perciò adotta una tattica bella e appropriata per un'efficace educazione, invitandoci dapprima, poi guidandoci per mano, infine istruendoci. Il nostro Pedagogo, o figli, assomiglia a Dio suo Padre, del quale è Figlio, senza peccato, irreprensibile e non toccato dalle passioni dell'anima: è Dio immacolato sotto forma di uomo, servitore della volontà paterna. Dio anche nella forma ed egli è completamente libero dalle passioni umane e per questo è anche l'unico giudice, l'unico senza peccato.



A cosa serve il linguaggio ?



Nel Il Maestro, Agostino d'Ippona immagina, secondo l'esempio dei dialoghi platonici, di cercare la verità in un dialogo serrato con il figlio Adeodato.


Sant'Agostino e suo figlio


 Nel passo che apre l'opera si anticipa già la conclusione: il linguaggio non serve a trasmettere la conoscenza, ma a richiamare alla mente ciò che è già stato depositato nella nostra anima.

Agostino - Secondo te, che cosa vogliamo ottenere parlando?
Adeodato - Per quel che ora mi viene in mente, insegnare o imparare.
Agostino - Sono d'accordo su uno dei due e mi appare evidente, perché è chiaro che parlando intendiamo insegnare; ma imparare, come?
Adeodato - E come credi, se non interrogando ?
Agostino - Ma, anche in questo caso, vedo solo che intendiamo insegnare. Perché tu, ti domando, interroghi per un altro motivo, che non sia insegnare a colui che interroghi?
Adeodato - Dici il vero.
Agostino - Vedi dunque che con il linguaggio non desideriamo altro che insegnare.
Adeodato - Non lo colgo chiaramente: se infatti parlare non è altro che proferire parole, mi sembra evidente che lo facciamo anche quando cantiamo. Ma poiché spesso cantiamo da soli e non è presente nessuno che impari, non penso che intendiamo insegnare qualcosa.
Agostino - Io invece credo che ci sia un modo di insegnare tramite il richiamo alla memoria, e certamente importante, che ti indicherà l'oggetto stesso di questo nostro discorso. Ma se tu non ritieni che si impari ricordando e che chi fa ricordare insegna, non mi oppongo a te: stabilisco fin d'ora due fini del parlare, o per insegnare, o per ricordare ad altri o a noi stessi. Lo facciamo anche quando cantiamo; o non ti pare ?


La sapienza divina

Gli uomini non possono conoscere Dio direttamente, ma presso di loro è venuto il Figlio di Dio.




Tra i prefetti noi parliamo di sapienza, ma non di una sapienza di questo mondo, bensì parliamo di una sapienza di Dio avvolta nel mistero, che è stata nascosta, che Dio predestinò, prima dei secoli , per la nostra gloria, e che nessuno dei principi di questo mondo ha mai conosciuto: se infatti l'avessero conosciuto non avrebbero crocifisso il Signore della gloria.




A noi però l'ha rivelata per mezzo dello spirito, perché lo Spirito scruta tutto, anche le profondità di Dio.
Così anche le cose di Dio nessuno le conosce, se non lo Spirito di Dio.

Ma l'uomo psichico non accetta le cose dello Spirito di Dio: sono infatti per lui una follia e non le può comprendere, perché si giudicano spiritualmente; lo spirituale invece giudica tutto e non è giudicato da qualcuno.



La sapienza nell'ambito della teologia è un attributo di Dio. Essa si manifesta nella creazione e nel governo dell'universo.


Raffigurazione della Sapienza sulla tomba di Clemente II, è stato il 149º papa della Chiesa cattolica dal 25 dicembre 1046alla sua morte, nella Chiesa di Bamberg, in Germania:




Clemente II















martedì 22 maggio 2018

La casa costruita sulla roccia e la casa costruita sulla sabbia

Gesù Cristo spesso ricorre alle "parabole" per rendere comprensibili concetti complessi. Cristo paragona l'uomo che ascolta la parola di Dio a colui che costruisce la casa sulla roccia e quindi resiste alle avversità della vita, e l'uomo che si chiude al messaggio divino a colui che invece costruisce sulla sabbia.



Chiunque viene a me, ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile. E' simile ad un uomo che fabbricò una casa, scavò, andò in profondità e pose le fondamenta sulla roccia. Essendo sopravvenuta un'inondazione, il fiume irruppe contro quella casa ma non poté scuoterla, perché era stata ben costruita. Chi invece ascolta e non mette in pratica è simile ad un uomo che edificò una casa sulla terra senza fondamento. Il fiume vi irruppe contro e subito crollò e grande fu la rovina di quella casa. 


"Anche a scuola si può fare il paragone tra chi sta costruendo una casa sulla roccia, viceversa sulla sabbia. Per esempio: una casa costruita sulla roccia sarà costruita dalle persone diligenti, che seguono le regole  e si impegnano nello studio.Come il detto: chi semina, raccoglie, perché chi si impegna alla fine viene premiato con i risultati ottenuti.."

casa che si sta costruendo sulla sabbia 





casa costruita sulla roccia