domenica 27 maggio 2018

Come insegnare letteratura a Teheran, oggi

Azar Nafisi

Azar Nafisi, scrittrice iraniana ora residente negli Stati Uniti, nel romanzo Leggere Lolita a Teheran racconta del suo tentativo di tenere corsi, all'Università di Teheran, su autori occidentali come Vladimir Nabokov, del quale propone lo scandaloso Lolita, da cui il titolo di questo suo libro autobiografico. Per aver letto e commentato Il grande Gatsby dello scrittore americano Francis Scott Fitzgerald viene addirittura "processata" dagli studenti integralisti della rivoluzione islamica dell'ayatollah Khomeini: nel brano qui sotto, l'autrice cerca di garantire l'autonomia della letteratura rispetto alle "ingerenze" della religione o di altri criteri di valutazione che non siano quelli artistici o che non tengano conto della vita nella sua complessità. La docente deciderà di continuare l'insegnamento nella propria casa, con un gruppo di fedeli studentesse. Benché si tratti di un brano su un paese islamico di oggi, ciò che viene descritto affonda le radici nei tempi più antichi della stessa religione musulmana: il filosofo e pedagogista Al-Ghazzali nel XII secolo ammoniva di tener lontani i giovani dalle opere letterarie che parlano di amore di amanti perché esse seminano "nei cuori dei fanciulli i germi dei vizi".

Dunque mi accomodai goffamente sulla sedia offertami da Farzan. Nel corso dei preparativi per il processo, avevo scoperto che, per quanti sforzi facessi, mi riusciva difficile spiegare a parole le ragioni della mia passione per Gatsby. Continuavo a ripetere ciò che lo stesso Fitzgerald aveva detto del libro: "E' questo il succo del mio romanzo, la perdita di quelle illusioni che danno colore al mondo: così che non importa più se una cosa è vera o falsa, purché partecipi di quello splendore".
Avrei voluto dire agli studenti che il romanzo non parlava di adulterio, ovvero di violazione della fedeltà coniugale, ma della perdita dei sogni.
Per me era diventato di importanza vitale che accettassero Gatsby alle sue condizioni, lo lodassero e lo amassero per la sua bellezza straordinaria e tormentata; ma in quell'occasione dovevo essere più concreta.
"Non si legge Gatsby" dissi dunque "per capire se l'adulterio è una cosa buona o cattiva, ma per rendersi conto che il matrimonio, la fedeltà, il tradimento sono questioni molto complicate. Un grande romanzo affina le vostre percezioni, vi fa sentire la complessità della vita e degli individui, e vi difende dall'ipocrita certezza della validità delle vostre opinioni, della morale a compartimenti stagni..."
"Ma signora," mi interruppe Nyazi "non c'è nulla di complicato in una relazione con la moglie di un altro. Perché Gatsby non si trova una moglie sua?" aggiunse, corrucciato, cioè risentito.
"E tu perché non ti scrivi un romanzo tuo?" esclamò qualcuno dalla fila di mezzo. Nyazi rimase sbalordito. Da quel momento in poi non riuscii a dire più due parole in croce: pareva che di punto in bianco tutti sentissero il bisogno di intervenire. Dietro mio suggerimento Farzan chiese un intervallo di dieci minuti. Uscii dalla stanza insieme ad alcuni studenti che come me sentivano il bisogno di un po' di aria fresca.






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